11 settembre: i primi vent’anni da un… anno per antonomasia


Rivedendo le immagini di vent’anni fa, riesce difficile pensare che nel 2001 non esistessero ancora gli smartphone con telecamera incorporata. Solo con questo pensiero in mente si può capire quanto spropositato fosse, per quei tempi, il volume di immagini traballanti e quasi isteriche girate attorno al World Trade Center. Quello che oggi sarebbe il normale fiorire di video individuali testimonia, ai parametri tecnologici e di costume di quei tempi, uno stravolgimento locale e globale che trova pochi eguali nella storia contemporanea.

Banale ma vero, «11 settembre» è una delle poche date che – come 25 aprile e 8 settembre nella storia italiana – richiamano univocamente uno specifico anno e dunque uno specifico evento. Quel martedì pomeriggio, seguivo l’andamento delle borse europee che, dopo giorni in territorio negativo, davano segnali di recupero. Improvvisamente, crollo verticale dell’intero listino. Mi sintonizzai sulla CNN, che – segno anche questo dei vent’anni trascorsi – trasmetteva l’immagine televisiva fissa delle due torri fumanti ma non ancora crollate, colpite ciascuna da un aereo a 17 minuti di distanza una dall’altra. Poco dopo, le notizie sullo schianto al Pentagono e sull’aereo che in Pennsylvania, a Shansksville, precipitava a seguito della rivolta dei passeggeri.

Ciò che accadde nelle ore e nei giorni successivi sarebbe stato molto più difficile da ricordare – francamente – fino a un anno e mezzo fa, quando la parola «lockdown» non faceva ancora parte del nostro lessico quotidiano. Divieto di volo per tutti gli aerei civili nello spazio aereo USA (è appena il caso di notare che cosa ciò possa significare da quelle parti); Wall Street chiusa per quasi una settimana; un Paese terrorizzato e paralizzato, anche dalle spaventose immagini dei due aerei dirottati che si schiantano nei grattacieli, dell persone impazzite che si lanciano dalle finestre nonché dei grattacieli stessi che – uno dopo l’altro – collassavano come due tende a pacchetto in una maniera che sarebbe stata difficile immaginare in un’animazione 3D.

Nel frattempo, il presidente George W. Bush veniva blindato in località segretissima. Di lì – lo sottolineiamo con un filo di malizia – pensava probabilmente già alle ricadute politiche dell’evento. Eletto con pochissimi voti di scarto sul vicepresidente uscente Al Gore nel novembre precedente dopo una disputa finita nei tribunali, Bush si vedeva offrire un’arma di consolidamento del consenso elettorale che, in terra americana, avrebbe pochi eguali (e che non a caso portò alla sua rielezione nel 2004. La guerra ad Al Qaida venne dichiarata immediatamente, e gli Stati Uniti invasero l’Afghanistan dando origine a un lungo capitolo esauritosi, per una strana ironia della storia, giusto una manciata di giorni fa; anche se Osama Bin Laden, divo del male che improvvisamente aveva fatto irruzione sulla scena globale, era già stato scovato e ucciso nel 2011.

In quegli stessi giorni dopo l’11 settembre, il mondo si era bloccato. Dopo qualche giorno gli aerei tornarono a solcare i cieli statunitensi, ma la psicosi generale colpì molto duro. Tanta paura di viaggiare, aeroporti per un po’ semideserti, che nel giro di qualche mese tornarono a ripopolarsi mentre la gente – nel quadro delle nuove misure di sicurezza dettate dagli USA – si lamentava di doversi togliere le scarpe prima dei metal detector. Oggi come oggi, saremmo tanto felici di ricominciare a farlo spesso.

Roberto Codebò

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