
Situata in uno dei luoghi più suggestivi di La Morra Osteria Arborina da oltre un anno si affida alle cure dello chef campano. Il racconto dei piatti di una cena per Salone OFF Food Topic, in attesa di una prossima visita.
Quando sono stato per la prima volta all’Osteria Arborina era il mese di maggio di qualche anno fa.
Ricordo un’esperienza gastronomica notevole, pienamente meritevole della stella Michelin di cui allora si fregiava. Avevo optato per la formula 3 piatti più dessert abbinando due calici di vino.
Il ristorante allora aveva Andrea Ribaldone patron chef e credo di ricordare ci fosse Marco Mannori come resident.

Impossibile dimenticare agnolotti e plin ai due servizi: ravioli classici, serviti caldi e subito dopo plin su ghiaccio, come avviene con la soba in Giappone.
Quel rivestimento freddo e croccante che conteneva un ripieno caldo e speziato mi aveva convinto.

Ero rimasto colpito dalla bella e ampia vetrata sulle vigne e dal fascino discreto di un posto che non scorgi arrivando dalla strada. Non te lo aspetti, non sai che cosa attenderti.
Attraversi l’ingresso e impari a conoscere gli spazi: il resort, la piccola piscina, l’Osteria ed il bistrot con la terrazza al piano superiore.
All’esterno vigneto, silenzio e discrezione.

Qui risiedono o hanno i filari alcune delle aziende più significative di La Morra, a cominciare da Elio Altare, per continuare con i due fratelli Corino e Mauro Veglio.

Appena sotto all’Annunziata c’è Ratti, a Bricco Luciani Federico e Marilena con i due figli conducono la Silvio Grasso.

L’inverno successivo a quella visita ci fu il covid e subito dopo il passaggio di consegne con l’arrivo di Enrico Marmo. Mi ero ripromesso di tornare, perché mi parlavano bene di quello chef che aveva lasciato i Balzi Rossi di Ventimiglia per vivere un’esperienza in Langa, ma non ho fatto in tempo.
Dopo il ritorno a casa di Marmo, nel marzo 2022 fa arriva all’Arborina chef Giuseppe Lo Presti, ma è un matrimonio che non dura. A inizio autunno la proprietà decide di chiudere e di conseguenza perde la stella Michelin.
La ventata di novità giunge con la primavera 2023. Fernando Tommaso Forino diventa l’executive chef dell’intera proposta gastronomica di Osteria Arborina.
FERNANDO TOMMASO FORINO

Campano di Scafati, Forino ha 33 anni e un curriculum già ricchissimo di esperienze.
A 25 anni è sous chef di Emanuele Mazzella al Vespasia di Norcia.
A Ginevra difende con successo la stella Michelin del Ristorante La Bottega.
Di nuovo in Italia, lo troviamo prima al Nun di Assisi, poi nel lusso di Borgo San Pietro, nella ricca provincia di Siena.
L’occasione di conoscerlo si è materializzata pochi giorni fa a Torino, nel corso dell’evento conclusivo di Salone OFF Food Topic: una cena a quattro mani con Christian Costardi da Scat to.
I SUOI PIATTI PER IL SALONE OFF

Nelle sue alici al verde c’è una parte vegetale costituita da un’insalata di prezzemolo condita con un garum home made con le lische e le teste delle acciughe. Il tutto completato con katsuobushi di alici.
Accanto ecco le alici ripiene di mollica di pane. Sopra una crema di aglio bianco, crema di pane e bagnetto verde.

Una rivisitazione innovativa ed efficace allo stesso momento.
Gnocco alla romana in una sfogliatella riccia rappresenta un classico senza tempo della tradizione partenopea in una versione fuori dagli schemi.

Il piatto unisce la tradizione campana a quella romana, perché il gnocco di semolino viene ricreato all’interno della sfogliatella.

Nel piatto principale c’è da pucciare la parte croccante e un gel di arancio per pulire la bocca.

Un piatto da scarpetta.
La Coppa Seirass è un dolce omaggio alle Gallerie d’Italia e al Museo Egizio di Torino.

È ispirata a una coppa Savoia, con alla base seirass, gel di amarene e una fragola come occhio di Horus.
In accompagnamento un’insalata di varie consistenze di fragole con le tecniche di conservazione di una volta: sotto sale, fermentate, sott’olio.

Insieme uno sciroppo di riduzione di fragole, sambuco e fiori di sambuco stesso.
Un dessert perfetto per le serate estive.
I MENU DI OSTERIA ARBORINA

Due sono i menu degustazione tra cui scegliere:
Senza Regola sono dieci portate a scelta dello chef. Resta solo da indicare le preferenze di ingredienti. Costa 125€.
Distanze che si incontrano sono sette piatti: alici in verde; tonno di coniglio; riso, cipolla e lampone; dumpling di baccalà in bagna cauda; sogliola in ceviche; manzo, pane e pinoli; la colazione all’italiana. Costa 95 €.
Due sole portate a scelta del percorso Distanze che si incontrano a 55€; tre piatti dello stesso percorso a 75€.
La proposta è incentrata su sostenibilità e nessuno spreco.
Sopra all’Osteria c’è THE LAB, bistrot-laboratorio in terrazza con vista sulle vigne.
QUATTRO CHIACCHIERE CON LO CHEF

Da Ginevra a La Morra. Che cosa cambia?
«In Svizzera facevo cucina italiana, poi sei all’estero quindi puoi anche variare di più. A La Morra è più difficile, perché devi conciliare i desideri di chi si aspetta la cucina delle Langhe con le aspettative di chi vuole cose nuove».
Come se ne esce?
«Vitello tonnato come comfort zone, poi però amo variare. Ad esempio un mio piatto è pasta e patate, ma la prima volta che al posto della provola ho usato il Castelmagno e l’ho affumicato i clienti mi volevano sparare. Poi però l’hanno assaggiato e continuano a chiederlo».

Che cosa trovo se vengo al Bistrot?
«Innanzitutto ho una carta molto piccola, di solo nove piatti tradizionali. Poi lavoro tanto con gli special, ma di cucina italiana. Parmigiana, lasagne, canelloni, carbonara. Va bene il Piemonte, siamo lì, ma chi viene da me vuole anche altro. All’Osteria mi sbizzarrisco un po’ di più, ho i miei abbinamenti».
Che cosa ti piace di più nel tuo lavoro?
«Lo studio e la ricerca sono il bello e lo stimolo di questo lavoro. Scoprire la tradizione di un posto, studiarla, capirla. Decidere che cosa e come utilizzarla. Tanto per fare una battuta, quando ho preso l’agnello sambucano la prima cosa che ho pensato è stata: si chiamerà così perché l’agnello si è imbucato, si è nascosto. Non si finisce mai di conoscere».

Parlami del THE LAB
«Tutti i grandi ristoranti all’estero hanno un LAB. Io ho un laboratorio che funziona. Tutte le preparazioni, anche quelle destinate all’Osteria, sono testate».
È un po’ il motore che ti fa andare avanti?
«Ogni anno ripetersi, alzare l’asticella e andare più nel dettaglio nella ricerca è sempre più difficile. Io la montagna non ce l’ho, non posso fare foraging. Però mi guardo attorno e uso quello che ho».
Fammi qualche esempio.
«Non ho la montagna, ma ho le vigne. La foglia di vite, quella tenera, nell’Europa dell’est è molto usata. Puoi fare degli involtini, che è la cosa più scontata, ma anche metterle sott’olio».

Poi?
«Usiamo il tarassaco come pesto, o i fiori di tarassaco che i bisnonni facevano in conserva da mettere poi nelle insalate. Quando fanno la selezione delle uve vado a recuperare i grappoli scartati, li faccio leggermente appassire, seccare e ne ricavo una salsa, faccio un fermentato. Quello che mi offre la natura, in questo caso la vigna, io lo prendo».
Fabrizio Bellone