Don Peyron: “I giovani attendono, non si sa bene che cosa o chi”


Tu sei per il tuo servizio nella Chiesa cattolica a contatto con i giovani. Come stanno vivendo questo tempo di pandemia e di guerra? La tecnologia gli sta aiutando?

Bentrovati a tutti. Dal mio punto di osservazione mi pare di poter dire che i giovani sono in attesa. La pandemia ha generato un senso di perenne rimandare tutto, specialmente quanto è più impegnativo o complesso. I giovani attendono, non si sa bene che cosa o chi. Spostano in avanti le grandi decisioni, attendono che gli adulti lo siano davvero ed attendono con tremore di diventarlo adulti. Leggo molta bellezza in loro ed altrettanta fragilità.

Ma sanno usare meglio di noi la tecnologia? Questa può essere una risorsa?

Certamente sì, ma non bisogna pensare che la capacità quasi naturale di usare della tecnologia significa allo stesso tempo una adeguata maturità nel comprenderne i significati. La tecnologia, pensiamo ai social, può essere una bellissima finestra aperta sul mondo o, nello stesso tempo, un rifugio sull’albero in cui nascondersi dalla vita e dalle responsabilità. Credo che la tecnologia possa essere uno straordinario luogo di incontro tra generazioni e, in questo tempo, di reciproca comprensione ed aiuto. I giovani vivono oggi la fatica di essere spesso al centro dei discorsi degli adulti e molto poco al centro delle loro concrete attenzioni. In una parola credo che si sentano poco desiderati. La tecnologia, per assurdo, li desidera di più, li coinvolge di più, chiede loro maggiori attenzioni e presenza. Possiamo andare loro incontro desiderandoli? Desiderando con loro costruire un mondo in cui macchina e uomo collaborino efficacemente? Mi sembra una buona strada per diventare tutti migliori. In alto il cuore ed alla prossima puntata.

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