
Nel dicembre 2017, un’ondata di stupore accolse lo spacchettamento del processo Eternit bis: per i 258 casi di omicidio non si sarebbe più proceduto in blocco a Torino, bensì, per ciascun caso, presso il Tribunale competente per il luogo in cui si è verificata la morte. Risultato del rigetto, in sede di udienza preliminare, della tesi dell’omicidio doloso: se non c’è dolo, non può esservi continuazione di reato; se non c’è continuazione di reato, la competenza non risulta attratta in un’unica sede. Di quei 258 casi, soltanto per due si sarebbe dunque proceduto a Torino; per la maggior parte degli altri, verificatisi nella zona di Casale, sarebbe stato competente il Tribunale di Vercelli (visto che quello di Casale è stato chiuso). Per gli ulteriori casi, competenti Napoli e Reggio Emilia.
Poco più di un anno dopo, in questi giorni, il processo torinese è ormai giunto alla discussione. Per altro verso, nel prossimo dicembre cadrà il decimo anniversario della prima udienza del primo processo Eternit, il giorno e l’evento più mediatici e globali – ci pare di poter dire – in tutta la storia della giustizia subalpina. Se è vero che l’attenzione generale è ormai molto ridotta rispetto a ciò che accadde quasi dieci anni fa, è anche vero che i soli due singoli casi rimasti a Torino sono trattati dagli addetti ai lavori con un’attenzione tutt’altro che marginale.
Le ragioni – fin troppo facili da spiegare – sono di carattere storico, umano e tecnico. Durante l’enorme vicenda del primo processo Eternit, si è creata una solida sfera di rapporti umani e professionali – tra avvocati e non soltanto – che ha dato vita a quello che qualche volta ci capita di etichettare come “Eternit people”: espressione in questo caso riferita non alle famiglie delle vittime, bensì proprio agli addetti ai lavori. Una sorta di community professionale nata e consolidatasi all’ombra della Mole, i cui volti sono ormai praticamente sempre gli stessi quale che sia la città in un cui il singolo processo va in scena: dall’avv. Guido Alleva (foto di Milano) al prof. Astolfo Di Amato (foro di Napoli) sul fronte dei difensori, dalla torinese Laura D’Amico in poi sul fronte degli avvocati delle parti civili.
Indipendentemente da tribunale competente e foro di appartenenza, per tutti la capitale dell’amianto – in senso processuale – continua però ad essere Torino. In primis; perché per l’appunto tutto è cominciato e si è sviluppato qui; in secondo luogo, per una ragione – come accennavamo – più strettamente tecnica. Abbiamo notato che per la maggior parte dei singoli casi Eternit-bis è competente il Tribunale di Vercelli; orbene, Vercelli fa parte del distretto giudiziario di Torino, e – come già avvenne a Ivrea per il processo per l’amianto alla Olivetti – proprio da Torino potrebbero giungere rinforzi alla Procura locale (analoga operazione non è invece possibile per quanto riguarda la magistratura giudicante) per garantire il livello di esperienza e di risorse necessario in una materia così specifica. Per la quale Torino, dunque, continua comunque a essere la sede pilota, anche ben al di fuori dei confini del proprio distretto.
Non è del resto un caso che non soltanto a Vercelli i tempi dei processi originanti dall’Eternit-bis siano spesso stati regolati per attendere le due sentenze torinesi. Le quali a questo non dovrebbero tardare, sbloccando così soprattutto il processo vercellese e dettando i tempi verso quel decimo anniversario della prima udienza Eternit a Torino che – ne siamo certi – sarà momento topico per riflettere sugli sviluppi di questa enorme tragedia silenziosa.
Roberto Codebò
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