Ferran Adrià, tra i protagonisti di “Buonissima”, si racconta in un’esclusiva intervista


E’ tornata sul sito Contemporaryart la rubrica Artscapes*, a cura di Marco Aruga, che ha incontrato Ferran Adrià, uno degli chef protagonisti di una delle “cene evento” di Buonissima – edizione 2021 – (“Circo Fellini” – venerdì 29 ottobre 2021 – al Museo Nazionale del Cinema, nella Mole Antonelliana), manifestazione che raccoglie a Torino alcune delle menti più creative della gastronomia italiana ed internazionale, per celebrare la bellezza, la fantasia e la cultura applicata ai numerosi discorsi possibili intorno al cibo (www.buonissimatorino.it).

ARTSCAPES # 33 – FILES – a cura di Marco Aruga: Ferran Adrià “Sapori, contrasti, accordi, sorprese, sorrisi”

Raggiunto il vertice, e non sapendo così cosa altro raggiungere – in termini di successi e di premi – probabilmente è naturale, e consueto del resto, prendersi una pausa per ragionare su di sé, e sui passi successivi.

È stato così per Ferran Adrià, con qualche certezza il cuoco più famoso al mondo, per quel complesso di riconoscimenti, di innovazioni e di nuovo pensiero intorno al cibo che hanno caratterizzato l’emergere della sua figura nell’empireo della gastronomia internazionale.

Era il 2011, Adrià chiudeva un periodo professionale di oltre un ventennio che l’avevo visto installarsi al primo posto di una delle più rinomate classifiche mondiali di quest’ambito (la “World’s 50 Best” della rivista “Restaurant”), per rimanervi per quattro edizioni, con il corollario delle tre stelle. 

Obiettivo dichiarato: guardare dal di fuori, ma non troppo, il mondo che lo aveva così consistentemente celebrato, e soprattutto poter dilatare i tempi di ricerca e sperimentazione, che già scandivano la chiusura stagionale di El Bulli, ed erano costituiti dal buen retiro dei sei mesi all’anno spesi nel laboratorio barcellonese di “El Taller”. 

Chi si fosse spinto sino a quell’anno a Roses (lo fecero anche visitatori di Documenta XII del 2007, per vedere l’unico padiglione di quella manifestazione situato a oltre 1200 chilometri di distanza dalla sede naturale di Kassel, un riconoscimento al valore anche artistico alle realizzazioni dello chef) vi avrebbe trovato la mecca della ristorazione, il must, ma anche consistentemente un’esperienza, certamente celebrata e santificata. E allora sì: schiume, polveri, gel, spiazzamenti, delizie, ricerca, sorprese, … . 

Una pausa che non lo affrancava dall’impegno in quel campo, quanto piuttosto gli forniva riposo dallo stress agonistico del circo “tre stelle”, dandogli spazio – al tempo stesso – per riordinare le proprie priorità e lanciarsi in nuove avventure, ed affrontare con un approccio diverso un mondo che gli aveva già dato tutto.

Ma da quel momento molta acqua è passata sotto i ponti (“Tickets” a Barcelona, tapas e neotapas con cocktail bar, “Heart” a Ibiza, arti performative e gastronomia a braccetto, la sua frequente presenza nel dibattito culturale, …) sino alla consulenza per l’apertura di un nuovo ristorante a Torino, “Condividere” (sapientemente guidato da Federico Zanasi) in concomitanza con la costruzione del nuovo centro direzionale Lavazza nel quartiere Aurora. 

Ed il rumore legato alla nuova nouvelle cuisine, alla cucina molecolare (come Adrià non gradisce sia chiamata la sua) ed agli stimoli lanciati da El Bulli non sono certo scemati, sono parte del dibattito contemporaneo in gastronomia, e sono anche cifra ed ingrediente di molta alta cucina, ma hanno anche trovato eco nel lavoro di El Bulli Fondacion, oltre che in altri progetti lanciati, o in rampa di lancio.

Ferran still rocks, olè !

D.: Il mestiere di Chef – in contesti di assoluto livello – è un crocevia di esperienze affatto diverse: rapporti con fornitori, con il team, gli spazi per lo studio e la creatività, la questione dell’accoglienza, dello standard qualitativo, una sempre maggiore quota di tempo dedicata a PR e media, … Con le tue più recenti esperienze, dove possiamo dire di trovare Ferran Adrià ora? Sulla prima linea della sperimentazione? Nelle retrovie, a forgiare nuove leve della ristorazione internazionale? Altrove?

R.: Per molti anni sono stato occupato a fare tutto ciò che hai descritto, e che caratterizza la complessa e “multitasking” professione di chef.  Com’è noto, dal luglio del 2011 elBullirestaurante si è trasformato in una fondazione, e siamo impegnati a cercare di comprendere il mondo della ristorazione in ogni suo aspetto: storico, creativo, di riproduzione, commerciale, di marketing, esperienziale così come nell’interazione di tutti questi suoi aspetti.

D.: Siamo curiosi di chiederti della tua esperienza come artista ospite di Documenta 12, a Kassel, nel 2007. Come è stato il tuo incontro con quel mondo? Quali sono state le maggiori difficoltà, e quali le sorprese positive? Quali sono i tuoi rapporti attuali con il mondo dell’arte?

R.: Senza dubbio la partecipazione a Documenta è stata un’esperienza unica nella mia vita professionale, che ha arricchito in modo molto speciale le mie riflessioni non solo sul rapporto tra cucina e arte, ma riguardo alla cucina in sé stessa.  Grazie a Kassel, si sono esplicitate alcune domande che mi ponevo da tempo e che hanno assunto una nuova prospettiva: che cos’è la cucina? Che cosa rappresenta nella mia vita? Come si contestualizza in rapporto alle altre discipline? Queste e altre domande sono quelle che sono maturate da allora e che, di fatto, stanno alla base delle nostre ricerche a elBullifoundation. Per quanto riguarda il mio rapporto con il mondo dell’arte, ad elBullifoundation studiamo la relazione tra il mondo della gastronomia e tutta una serie di ambiti, come la scienza, il disegno, la conoscenza, la storia e, naturalmente, anche l’arte. Infatti, in elBulliLab, sede del lavoro teorico di elBullifoundation, vari artisti e storici dell’arte si sono uniti a noi insieme a professionisti di molte altre discipline, aiutandoci ad affrontare la nostra ricerca da un punto di vista olistico.

D.: Lo slogan che accompagna la presentazione di El Bulli Foundation è “Feeding Creativity”. Visto che ha svolto un ruolo così importante per te, vogliamo chiederti del tuo rapporto con il processo creativo.Come si è sviluppato, nel tempo, per te? Come si alimenta, allora, la creatività? Ci sono strumenti, discipline, percorsi da seguire? Ci sono talenti personali da scoprire e stimolare? 

R.: Il processo creativo è forse quello più noto ad elBullirestaurante, per quanto riguarda la cucina che si realizzava fino ad allora. Siamo stati fortunati a trovare una formula che ha permesso di dare un grande impulso a certe creazioni all’avanguardia: la nascita di un laboratorio dedicato esclusivamente alla creatività, ovvero al nutrire nuove idee, tecniche, concetti, elaborazioni, nel menu della stagione successiva, insieme all’implementazione di un calendario che prevedeva la chiusura per sei mesi all’anno al fine di permettere quelle ricerche, ci hanno portato a quel livello di “(ndr. sana) discontinuità” che pretendevamo da noi stessi.Proprio a partire da elBullifoundation il processo creativo è stato uno dei primi che abbiamo sottoposto a dissezione, cercando di comprenderne il contesto, gli elementi che lo caratterizzano, le fasi, i leader, la personalità di questi ultimi, le risorse gastronomiche e non gastronomiche (finanziarie, umane, organizzative) necessarie alla sua realizzazione, ecc… E anche tecniche creative, gli strumenti … Con questo abbiamo realizzato una mostra, inaugurata nel 2014 a Madrid e che successivamente ha viaggiato in altri luoghi del mondo.

D.: Hai certamente uno sguardo privilegiato sulla scena della gastronomia contemporanea: abbiamo assistito ad una esplosione di stimoli in varie direzioni, ancora in movimento, dalla destrutturazione, ai nuovi processi di elaborazione del cibo, alla rivalutazione di cucine e tradizioni “periferiche” – come quella del Nord Europa – ed all’affermarsi di figure di rilievo in Sudamerica, per esempio… Come vedi questa scena mondiale ora? Da dove possono provenire gli stimoli più interessanti? Quali le direzioni di ricerca e di sviluppo più importanti? 

R.: In effetti, la rivoluzione che probabilmente ha avuto inizio intorno alla metà degli anni novanta in Spagna ha rappresentato non tanto un cambiamento di assi, uno spostamento di attenzione da un paese (la Francia) ad un altro (la Spagna), ma una vera e propria esplosione, una globalizzazione dell’avanguardia, il prendere atto della possibilità che altre parti del pianeta potessero offrire proposte rivoluzionarie e molto innovative. In questo senso, tutti questi fuochi che hai suggerito, il Nord Europa, l’America Latina, ma anche altri luoghi in Europa centrale, per non parlare dell’Asia, ci offrono continuamente nuovi approcci e concetti assolutamente interessanti. Dove è possibile individuare gli ambiti di ricerca più interessanti? In molti luoghi, ad esempio, nella conoscenza e nella “collisione” con le cucine dell’Asia orientale e dell’India, o nella conoscenza della formidabile offerta di frutta e verdura dell’Amazzonia …

D.: La Spagna – a parte l’esperienza di El Bulli – si è caratterizzata in questi anni per l’eccellenza delle sue proposte gastronomiche. A cosa pensi sia dovuto?

R.: Non è mai facile definire quale ruolo abbiano in questi movimenti e fenomeni la tradizione gastronomica, il caso, i contributi personali, ecc… È vero che in Spagna, come in Italia e in altri paesi, abbiamo due pilastri molto importanti: una incredibile varietà di prodotti ed una ricchezza di cucine locali dal carattere molto variegato. A tutto ciò si somma un interesse crescente per l’alta cucina, che ha mostrato una certa continuità nel tempo, soprattutto a partire dalla fine degli Anni Settanta. Da allora, in particolare nei Paesi Baschi e nella Catalogna, sono state forgiate nuove leve di chefinfluenzati in quel momento dalla nouvelle cuisine, che col tempo hanno lasciato un terreno fertile per una generazione come la nostra che ha operato negli Anni Novanta. Credo che quello che è successo da allora in poi accada raramente nel percorso di una disciplina: la combinazione di personalità uniche, l’entusiasmo per l’apertura di nuove strade, uno scambio ed una solidarietà importanti fra professionisti… È successo nei primi anni settanta in Francia, e credo che si sia verificato anche a metà degli Anni Novanta in Spagna.

D.: Un progetto di cui sei “coautore” (“Heart” ad Ibiza, per il Grand Hotel) coinvolge il complesso dell’esperienza legata alla ristorazione – con proposte gastronomiche diversificate … – e la unisce ad altri elementi: intrattenimento, ambiente, musica, proiezioni, … Sono temi sui quali hai riflettuto, insieme ad altre persone. L’idea dell’”esperienza” è sempre stata legata a “El Bulli”. Quali sono stati i parametri di riferimento per la progettazione? Come avete affrontato le questioni che nascevano da un’esperienza così nuova?

R.: “Heart” è il progetto più interdisciplinare che abbiamo affrontato finora. Quali sono i riferimenti? In realtà, “Heart” è un incontro tra la gastronomia e tutta una serie di arti e di spettacoli scenici, con una sorta di ripasso di tutto ciò che è stato fino ad oggi il cabaret, il teatro, la danza, il circo… Accanto a tutto questo, le belle arti ed il design. La nostra intenzione che è che si produca un mix armonioso tra gastronomia e tutti questi stimoli, che coesistono in un tutto. E questa è stata anche la difficoltà grande (da realizzare, ndr.).

D.: Le persone vedono spesso le realizzazioni dell’alta cucina come lontane dalla loro esperienza quotidiana. Hai un suggerimento per far sì che lo spirito dell’alta cucina aleggi sulle nostre tavole? Alimentare la curiosità verso cucine diverse dalla propria? O ingredienti? O viaggiare? O leggere? O … provare a cucinare? 

R.: Penso che se qualcosa sia stato prodotto negli ultimi quindici o venti anni sia un riavvicinamento tra i principi dell’alta cucina e strati molto più ampi della popolazione. Non mi riferisco, ovviamente, a quelli che potremmo chiamare i “ristoranti di lusso”, ma non c’è dubbio che alcune delle pratiche, dei modi di intendere l’alta cucina, e della filosofia di coloro che la rappresentano, è entrato a far parte del nostro quotidiano. E questo cambiamento di atteggiamento è a disposizione di chiunque intenda integrare l’esperienza culinaria nella propria vita. Basta semplicemente scegliere, all’interno delle possibilità di ciascuno, i prodotti di stagione e della migliore qualità: un buon pomodoro condito con un ottimo olio d’oliva e un po’ di basilico può costituire un momento gastronomico.

D.: Il Piemonte è il luogo di nascita di SlowFood, del suo Salone del Gusto e di Terra Madre. Come vede l’affermarsi su scala mondiale di questo progetto, e delle sue istanze principali, quelle dell’attenzione al processo produttivo, al rispetto delle culture del mondo e della biodiversità? 

R.: Indubbiamente il Piemonte è una delle regioni italiane con maggiore tradizione culinaria dal punto di vista della cucina popolare, ma allo stesso tempo quella in cui si producono le iniziative più interessanti in termini di avanguardia, di biodiversità, negli approcci — come dire — filosofici sul significato stesso del mangiare e del cucinare, su ciò che rappresenta la produzione, lo sfruttamento dei prodotti, la sostenibilità… In questo senso, credo che l’esempio dato stia risuonando in tutto il mondo nei termini di una sempre più ampia consapevolezza. Oggi è difficile da capire, per esempio, una proposta d’avanguardia che non tenga in considerazione la gestione della produzione di prodotti, la politica della prossimità, ecc…

D.: In Italia, ma anche in altri paesi, registriamo negli ultimi anni un interesse crescente – anche in modo insospettabile – verso il mondo della ristorazione, in particolare dei media. In televisione in particolare si affollano talent show ed altri programmi, sul tema. Credo che se si chiedesse a un bambino il mestiere che vuole fare da grande, lo chef si affiancherebbe ora al calciatore e all’astronauta.Come vedi questo interesse e questo fenomeno?

R.: Credo che questo fenomeno non sia altro che il risultato dell’importanza che ha assunto la gastronomia negli ultimi anni. Per dirla in altro modo, essi (media e chef “televisivi”, ndr.) non fanno altre che continuare ad alimentare quello stesso boom gastronomico. In realtà potremmo dire che quando guardiamo i programmi televisivi sulla cucina, cosi come quando leggiamo articoli, blog, o utilizziamo applicazioni sulla cucina, stiamo in qualche modo consumando contenuto gastronomico, nonostante non lo mangiamo. Un’altra questione è se questi programmi riflettano la realtà della gastronomia, visto che ovviamente prevale lo spettacolo e si conformano innanzitutto alle regole di ciò che è televisivo. Inoltre, ogni professionista della cucina deve sapere se è interessato ad entrare in quel circuito, deve saper gestire le proprie opportunità e scegliere.

LINK

elBulli Foundation

http://elbullifoundation.com/

Ferran Adrià shows – elBulli Foundation – The UP Coming

elBulli: Last Waltz 

Ferran Adrià a Documenta 12 – 2007 

[Documenting Documenta]

*Per altri servizi, interviste e videointerviste di Marco Aruga, potete inserire la parola chiave “aruga” nella pagina di ricerca [search] in alto a destra, o visitare le playlist di Artscapes [https://youtube.com/playlist?list=PLTex8wGlfxcLgjt3fRa-vdEbDUvMvK5PO] e Soundscapes [https://youtube.com/playlist?list=PLTex8wGlfxcLke0GI1NJ1Ke9I9EJbgVT2] nella pagina di Youtube dedicata a ContemporaryArt Torino Piemonte [https://www.youtube.com/user/BlogContemporary]

Zipnews in collaborazione con il sito Contemporaryart Torino+Piemonte.

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