Il difficile mondo del carcere: intervista a Vicente Santilli, segretario regionale di SAPPE


Nelle ultime settimane il carcere e la condizione dei detenuti cosi come quella della Polizia Penitenziaria è diventato un tema di dibattito nazionale. Per comprendere meglio ciò che sta accadendo abbiamo intervistato Vicente Santilli, segretario regionale del Sindacato Autonomo della Polizia Penitenziaria.

Segretario Santilli, partiamo subito dal focus di questa intervista: qual è la condizione della carceri piemontesi, dal vostro punto di vista?

Il dato oggettivo è che il personale della Polizia Penitenziaria è stremato dagli estenuanti ritmi di lavoro, anche a causa delle continue violenti aggressioni. E’ uno scenario inaccettabile e nonostante i vari solleciti sembra che tutto questo non faccia più notizia.

Il Piemonte rispecchia, in qualche modo, anche il resto d’Italia.

Certamente, la gestione di tutti i padiglioni è molto caotica, visto il sovraffollamento. Tutto questo si aggrava con la presenza dei detenuti psichiatrici, i quali devono essere curati in strutture specifiche e non in carcere. Inoltre c’è anche una carenza di operatori e medici per aiutare questo genere di detenuti.

C’è un carcere che si trova in una condizione peggiore degli altri?

Torino è il caso più emblematico. Qui si viaggia con un numero di detenuti tra i 1450 e 1500 quando la capienza regolamentare è di 1100. C’è un notevole sovraffollamento. Sovraffollamento che è una costante che riguarda un po’ tutti gli istituti. Invece il corpo di Polizia Penitenziaria continua a diminuire. Perchè è vero che in atto un “turnover” con una serie di concorsi che sono stati avviati, ma le persone che stanno lasciando questo lavoro sono maggiori alle assunzioni.

A questo proposito, qual è la vostra posizione sul sovraffollamento?

Noi chiediamo che le piccole pene vengano scontate fuori dal carcere e utilizzare delle misure alternative come il braccialetto elettronico o gli arresti domiciliare. Poi, stiamo cercando di far collocare altrove i detenuti psichiatrici, magari in strutture intermedie come le Rems che possano accogliere questi soggetti.

Il dialogo con il governo a che punto si trova, visto che si tratta di un’emergenza nazionale?

Il governo con il decreto sicurezza ha cercato di migliorare alcune situazioni, ma serve incrementare le figure che lavorano all’interno del carcere, dalla Polizia Penitenziaria passando per gli educatori e il personale sanitario, oltre a rivedere le condizioni infrastrutturale. Facendo questo si potrebbero allentare anche le tensioni che sono presenti nel carcere.

Avvertite un isolamento nei vostri confronti da parte delle istituzioni?

Assolutamente. Ci sono operatori che lavorano 10-12 ore al giorno mentre il nostro contratto collettivo prevede 6 ore al giorno, evidentemente c’è qualcosa che non funziona. Quando ci sono pochi operatori come oggi si garantisce meno sicurezza, meno servizi e tutto ciò fa solo inasprire il clima.

Lei crede che questo isolamento sia anche dovuto al fatto che la tematica carcere sia poco “elettorale”?

Non credo, perchè di sicurezza se ne sta parlando e vediamo che ci sono interventi dei ministri su questo ambito. Però è necessario intervenire perchè, in generale, su 3mila posti siamo arrivati a superare i 4mila detenuti.

Infine, negli ultimi tempi ci sono stati anche episodi di violenza da parte di agenti della Polizia Penitenziaria nei confronti di detenuti. In questi casi, la body cam può essere una soluzione?

Noi diciamo sempre che il carcere deve essere una cassa di vetro, dove tutti devono sapere cosa fa il personale della penitenziaria. Noi oggi operiamo monitorando tutti gli quelli che sono i nostri interventi, anche perchè nel carcere ci sono le telecamere a salvaguardia sia del detenuto che dell’operatore. Poi chi si è reso responsabile di atti che non sono legittimi ne risponderà all’autorità giudiziaria.

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