
I temi a cui hai accennato la scorsa volta hanno suscitato molto interesse, come era prevedibile, hai voglia di continuare il discorso?
Volentieri. Abbiamo brevemente affrontato la questione dell’educazione dei giovani nel mondo ipertecnologico che verrà ed ho detto che vivranno in un mondo che neppure oggi possiamo immaginare. I saperi sino ad oggi sono stati tenuti artificialmente separati tra loro. Matematica e Italiano, scienze e geografia. Solo nei primi anni avevamo lo stesso insegnante, ma oggi i miei nipoti cominciano ad avere insegnanti diversi: neppure lo stesso volto, volti diversi, materie diverse. Saperi che non si parlano, perché spesso non si parlano neppure i professori. Non parliamo di quello che avviene in università, dove si dovrebbe essere nel posto in cui i saperi tendono ad uno ed invece è tutto un frantumarsi in mille corsi e corsettini. Il futuro chiede ben altro.
Cosa?
I confini tra saperi e competenze, tra razionalità e creatività, possono e devono diventare aperture, passaggi, percorsi, opportunità. Perché è la complessità dei cambiamenti in atto, la sua ambivalenza, velocità e imprevedibilità che ci ha mostrato, senza mezzi termini, l’inadeguatezza dell’attuale educazione e processi formativi. Oggi, il futuro sociale e culturale appartiene a chi riuscirà a sanare la frattura tra umano e tecnologico, a chi riuscirà a ridefinire e ripensare le complesse relazioni tra il naturale e l’artificiale, a chi riuscirà a unire conoscenze e competenze (non a separarle), a chi saprà, inoltre, unire e fondere le due culture (scientifica e umanistica), sia in termini di istruzione e formazione che nella definizione di profili e competenze professionali. In un mondo super tecnologico abbiamo ed avremo bisogno di persone sempre più umane che sappiano fare la differenza umana. Non persone macchine che funzionano come macchine e di tanto in tanto vengono aggiornate in quello che sanno fare! In alto il cuore ed alla prossima puntata.
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