Il Jazz come stile di vita: intervista a Stefano Zenni, direttore del Torino Jazz Festival


Il 20 aprile parte la nuova edizione del Torino Jazz Festival. Un’edizione rinnovata, tra talk, concerti e cinema per immergersi tra gli assoli e gli aneddoti migliori della storia del Jazz. Di questo ne abbiamo parlato con Stefano Zenni, direttore del festival.

Zenni, un festival arrivato alla 12esima edizione.

Si, siamo arrivati alla 12esima edizioni di questo festival. Quest’anno confermiamo un format che ha avuto grande successo nelle precedenti edizioni. Abbiamo una grandissima attività nei club, coordinata e concordata con i gestori. Importanti anche i talks, in cui si racconteranno le storia di questo straordinario genere musicale.

Il 25 aprile anche un importante evento.

Si, in occasione della giornata della liberazione nazi-fascista verrà messo in scena un importantissimo concerto al Teatro Regio.

Un evento che avrà a che fare con la gioventù resistente.

Questo evento è frutto di una collaborazione con la Regione Piemonte. Nel passato il Jazz Festival faceva i propri concerti in questa giornata importante e la celebrava per conto proprio. Quest’anno abbiamo deciso di unire le forze, anche insieme ad altre associazioni. Inoltre la gioventù resistente è solo uno dei temi che verrà trattato in questa giornata.

Cosa lo renderà unico?

Nell’occasione specifica avremo Fatoumata Diawara, una cantante maliana, che non è solo una musicista e cantante di assoluto spessore ma è una donna molto impegnata nella difesa dei diritti delle donne in certe zone dell’Africa. Inoltre celebreremo anche Dante di Nanni, giovane caduto a Torino sotto il fuoco nazi-fascista.

Qual è stato il criterio di scelta degli eventi e dei concerti?

Allora, diciamo che il Jazz è una sorta di amalgama di tanti generi differenti. Noi andiamo da quello più classico di Gonzalo Rubalcaba e Dave Holland fino alla contaminazione con l’hip hop e l’elettronica, per chiudere poi con la grande arte di Paolo Fresu.

Una scelta complessa.

Si, siamo stati spinti da un’idea di Jazz completamente attuale, visto che è un genere musicale in completa trasformazione. Quindi abbiamo provato a comporre un quadro il più ampio possibile.

Ci saranno grandi nomi…

Infatti abbiamo cercato di aggregare nomi importanti come Dave Holland e Paolo Fresu, ma senza perdere l’attenzione per le sperimentazioni e per quei musicisti italiani e stranieri giovani e poco conosciuti.

Visto il successo delle scorse edizioni, e che si appresterà ad essere ripetuto, si può dire che il Jazz italiano è in buona salute?

Si, il Jazz italiano gode di ottima salute. Basta scorrere i nomi che parteciperanno a questo festival per capire che questo genere musicale, seppur di nicchia, sia in ottima salute. Purtroppo però il sostegno da parte delle istituzione è al quanto precario, visto che il Jazz da solo non può farcela perchè occupa comunque una fetta minoritaria del mercato. Anche se l’Italia è tra i paesi europei con la più ampia varietà creativa di Jazz.

Per salutarci, ci può dire qual è il suo artista jazz preferito?

In questo momento sicuramente Duke Ellington, di cui quest’anno ricade anche il cinquantenario dalla morte. Ma anche Joan Coltrane, di cui sto realizzando un libro, per cui sono attualmente immerso nel genio coltrianiano.

di Riccardo Minniti

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