Doveva essere l’edizione più strampalata, più fastidiosa e meno divertente in ventidue volte della Coppa del Mondo di Calcio. I fastidi non certamente mancati, sotto forma di un continuo fastidio al pensiero del background politico di un Paese ospitante liberticida come non si vedeva – corsi e ricorsi…? – dai Mondiali di Argentina del 1978. E’ stato però come se le divinità calcistiche avessero voluto dimostrare di essere – per l’appunto – divinamente superiori a tali umane magagne, regalando uno spettacolo che davvero non si vedeva da parecchie edizioni: da prima ancora – direi – del grande stagione del Catenaccio e dei suoi indegni eredi, che fece precipitare per molti anni la media dei gol a partita.
I recuperi biblici delle prime partite avevano fatto pensare un po’ a tutti che lo spettacolo si dovesse pagare – per così dire – un tanto al chilo: medesima sensazione del resto suscitata dal forsennato ritmo di quattro incontri al giorno – in luogo dei tradizionali tre – durante tutta la fase a gruppi. Nella quale per altro verso iniziavano a fioccare le sorprese, a cominciare da una vittoria dell’Arabia Saudita sull’Argentina che a posteriori assume ora un valore ancora più straordinario, mentre una sublime qualità aveva sempre di più la meglio sulla quantità di cui sopra.
Eravamo difficili da consolare, noi figli di un’Estate italiana, dopo essere stati simultaneamente privati di entrambi. Ma questo autunno qatariota, col suo ambiente sfarzoso e un po’ lunare punteggiato da stadi faraonici piazzati lì solo per qualche settimana, ha regalato partite che sembravano decise al 75′ minuto, e poi si sono stravolte nel finale. Ha regalato le sincere lacrime di un Cristiano Ronaldo più antipatico del solito, consapevole (forse) di essere ormai al crepuscolo. Ha regalato – bizzarramente proprio nel momento in cui CR7 esce virtualmente di scena – il ritorno alle grandi individualità, ai grandi numeri dieci come Pelé, che ha visto tutto e tutti dal suo letto d’ospedale. Ha regalato la meravigliosa favola del Marocco tra le prime quattro del Pianeta, che ha trovato tifosi in tutta l’Africa, in tutto il mondo arabo e anche in tantissimi europei non immigrati. Ha regalato da ultimo una finale semplicemente meravigliosa, così bella da far pensare che i rigori siano stati non capricciosa e un po’ stupida lotteria finale, bensì unico possibile epilogo a tale stupendo copione della più alta commedia calcistica.
Per certi versi, è il minimo che possa succedere quando due dèi del calcio si incontrano nell’atto supremo della più alta rassegna. Ma questa volta erano anche compagni di squadra; erano anche un trentacinquenne e un (neanche) ventriquattrenne a passarsi una sorta di testimone; e hanno anche segnato cinque gol in due, ai quali si aggiunge il fatto che l’unico gol non segnato né da Mbappé né da Messi sia stato da quest’ultimo ispirato con un divino tocco di esterno, che ha dato adito a una di quelle azioni che rivedremo, in saecula saeculorum, in ogni possibile salsa.
Restituiremo tra poco la linea alle residue cronache qatariote, tutt’altro che calcistiche. Un’Europa sconfitta in finale esce anche coperta di polvere scura, dopo aver accettato succose mazzette per passare sopra certe violazioni dei diritti umani; non meno succose del resto di quelle fin troppo notoriamente versate ai votanti della Fifa per silurare illo tempore le prestigiose candidature di Inghilterra e USA/Canada/Messico, queste ultime padrone di casa del prossimo Mondiale. E restituiamo la linea con la consapevolezza che di tutto ciò si dovrà parlare fino in fondo, con la stessa intensità con la quale ci siamo saputi godere questa graditissima sorpresa pallonara.
Soltanto nei Mondiali inglesi del 1966, fino a stamattina, era stata segnata una tripletta in finale. La firmò a Wembley Geoff Hurst, e uno dei suoi tre gol passò alla storia come il gol fantasma. Senza Goal Line Technology, sarebbe stato così anche oggi per il gol su azione di Messi; e anche il fuorigioco semiautomatico ha tolto qualche bella castagna dal fuoco ad arbitri non sempre all’altezza. La tecnologia ci ha lasciati concentrare sulle cose più belle da vedere; senza però dimenticare le cose brutte, che troppo spesso facciamo finta di non vedere.
Roberto Codebò
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