Pubblichiamo un nostro articolo scritto da Vigo nello scorso marzo, in ricordo delle tre partite che l’Italia vi giocò all’inizio del Mondiale 1982. Abbiamo scelto di tenerlo da parte giusto fino ad oggi, nella speranza che, tra tanti ricordi e qualche lacrimuccia, consoli al meno in piccola parte i nostri lettori della tristezza di un’estate senza notti magiche…
Vigo (Spagna nordoccidentale), marzo
Non avevo ancora dieci anni, quando iniziò il Mondiale di Spagna. In quegli anni, si usava dire “il Mundial”: per tre edizioni di seguito (1978, 1982, 1986) si giocò in Paesi di lingua spagnola (Argentina, Spagna, Messico). Nel 1982, la Spagna era per me un’entità indeterminata tra la Francia e l’Oceano Atlantico. Pochi giorni prima dell’inizio del Mondiale, comprai un fumetto di Walt Disney in cui Pippo raccontava la storia e spiegava le regole del calcio. Queste ultime trasparivano da un incontro di calcio in cui undici Pippo affrontavano undici Gambadilegno: Tranquillini contro Maciullastinchi… Alla fine del volumetto, la tabella degli incontri: “Per la prima volta, le squadre della fase finale saranno ventiquattro…”, divise in sei gironi. A quell’epoca – sarà così fino a Italia 90 – ogni girone giocava sempre nelle stesse due città: Vigo e La Coruña, Oviedo e Gijon, Alicante e Elche, Bilbao e Valladolid, Valencia e Saragozza, Siviglia e Malaga. Per un bambino di nove anni, dodici nomi sconosciuti da sognare subito a memoria. E, a sempre a quell’epoca, la testa di serie era l’unica a giocare tutte e tre le partite del girone eliminatorio sempre nella stessa città. L’Italia, testa di serie del girone A, avrebbe giocato tre volte a Vigo.
Si cominciò il 14 giugno con la Polonia di Zbigniew Boniek: 0-0 il finale. In quei giorni mi trovavo a casa dei miei nonni, a Montechiaro d’Asti, dove il televisore era ancora in bianco e nero. Ma io, dopo quel primo incontro grigio in tutti i sensi, vinsi il privilegio della TV a colori: fui invitato dalla moglie del vecchio veterinario del paese, il quale, tra una partita e l’altra, raccontava per l’ennesima volta la sua personale versione della disfatta di Caporetto… Venne così Italia-Perù, e si pareggiò 1-1: splendido vantaggio azzurro con tiro da fuori di Bruno Conti, poi pareggio con clamoroso autogol di Fulvio Collovati. Indi lo sconosciuto Camerun, e un altro 1-1: gol di testa di Graziani e, un minuto dopo, pareggio di Mbida. L’Italia non segnava, non piaceva e soprattutto non vinceva: si qualificò con tre pareggi, soltanto per maggior numero di reti segnate a parità di differenza reti rispetto al Camerun, quasi un affronto all’orgoglio nazionale. Poi la celebre fulminazione sulla strada di Barcellona, sede del turno successivo: battute prima l’Argentina, poi il Brasile con un incontro entrato nella leggenda del calcio. Indi – sempre a Barcellona, ma altro stadio – vittoria sulla Polonia in semifinale e finalmente la magica notte del Bernabeu, segnata per sempre dai plateali gesti di Sandro Pertini e dall’eterno urlo di Marco Tardelli.
Oggi, il catino dello stadio Balaidos di Vigo è sempre lo stesso, ma il suo esterno è molto cambiato sull’onda di tante buoni stagioni del Celta – la squadra locale – anche in Champions League. Piove a dirotto, in un venerdì di marzo in cui è difficile pensare al caldo di cui si lamentavano gli azzurri in quel giugno di trentasei anni fa, sostenendo che avesse avvantaggiato i giocatori africani… Dall’altra parte della strada, il bar Mundial 82 ricorda la visibilità che quelle partite diedero a una cittadina di provincia, quasi sconosciuta all’estero nonostante l’importanza del suo porto sull’oceano. Un meraviglioso sogno azzurro, nel 1982, partì molto in sordina dalla periferia di Spagna. E’ stato bello riscrivere i ricordi di quel bambino di nove anni, in questo 2018 che non conoscerà notti magiche…
Roberto Codebò
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