
Nella più consolidata tradizione giurisprudenziale, a fronte di una morte sul lavoro il datore di lavoro – e/o le altre figure per ciò responsabili – vengono imputate di omicidio colposo. Più precisamente, si tratta di colpa c.d. “specifica”, giacché l’evento, quantunque non voluto, viene causato – recita l’art. 43, terzo comma, del codice penale – attraverso l’inossevanza “di leggi, regolamenti, ordini o discipline”.
Per altro verso, l’art. 61, n. 3 del codice penale prevede un’aggravante per i delitti colposi, la quale consiste nell’aver agito “nonostante la previsione dell’evento”. Trattasi, in questo caso, della c.d. “colpa cosciente”.
Com’è evidente, i due fattori di cui sopra concorrono a dar vita alla forma più grave della colpa, la quale così si spinge verso un confine concettuale ricco d’insidie, dall’altra parte del quale si trova la forma meno grave del dolo.
Raffaele Guariniello aveva tentato di attraversare questo confine in occasione del processo Thyssen. E vi era in un primo momento riuscito: il 15 aprile 2011, la sentenza di primo grado aveva condannato Harald Espenhahn per omicidio illuminato da dolo eventuale. Il quale – lo ricordiamo – costituisce per l’appunto la forma meno grave del dolo: il reo ha persistito nella propria condotta pur rappresentandosi l’eventualità di causare il relativo evento.
Tale ipotesi delittuosa (formulata da Guariniello per il solo Espenhahn, e non anche per gli altri sei imputati del processo Thyssen) era però durata soltanto un grado di giudizio. Il 28 febbraio 2013, la sentenza di appello aveva infatti ripristinato anche per Espenhahn la natura colposa dell’omicidio. Idem poi, passando attraverso un appello di rinvio, in Cassazione.
Di tutto ciò non si era nel frattempo parlato durante il primo processo Eternit, semplicemente perché ivi non si procedeva per omicidio bensì per reati in materia di sicurezza sul lavoro, i quali hanno tutt’altra struttura.
Non appena, con il processo Eternit bis, si è tornati a parlare di omicidio, ha ripreso vita il tentivo di illuminare i fatti in questione con il dolo eventuale. Tentativo che stavolta, però, non ha retto neppure al vaglio dell’udienza preliminare.
Ma c’è dell’altro. Al vaglio dell’udienza preliminare non ha retto neppure l’unitarietà della vicenda processuale in relazione a tutti i lavoratori Eternit. Venendo infatti meno la volontarietà (quantunque eventuale) del fatto, viene meno anche l’unicità del disegno criminoso, fattore aggregante della competenza in capo a un unico Tribunale. Indi, ogni fatto prende la via del luogo in cui è stato commesso, vale a dire del luogo in cui ha avuto luogo ciascun singolo decesso.
Nel frattempo, Raffaele Guariniello è andato in pensione, e l’altro ieri commentava il provvedimento del GUP ai microfoni di radio Rai con le sua incrollabile connotazione in positivo. Ma – crediamo – anche con il rimpianto di non essere riuscito a concludere la propria irripetibile carriera di magistrato ottenendo una sentenza definitiva che consacri, per la prima volta in Italia, l’applicabilità del dolo eventuale in casi del genere.
Per tutto ciò, vale la consueta considerazione. I processi sull’amianto sono cominciati troppo tardi. Decenni fa, molte cose sarebbero state probabilmente diverse. Di sicuro, sarebbero stati diversi gli imputati.
Roberto Codebò
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