Quando il Verbano-Cusio-Ossola divenne piemontese, di nome ma non di fatto…

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Territori assai più vicini a Milano che a Torino; un dialetto e una parlata che di piemontese hanno decisamente poco; collegamenti ferroviari e stradali molto più diretti e agevoli con la Lombardia. Bastano queste poche parole per capire quanto il Verbano-Cusio-Ossola sia…. piemontese per caso. Una differenza di cultura rispetto all’ombra della Mole resa ancor più evidente da un quarto di secolo a questa parte, da quando i territori in questione sono stati eretti in provincia a sé stante. Erano già passati quasi duecentocinquant’anni, da quando Domodossola e dintorni erano approdati alla Corte di Torino…

Gli antefatti

Non guasterà iniziare il presente articolo ricordando che la continuità territoriale di uno Stato, concetto ovvio ai giorni nostri, tale assolutamente non era nei secoli passati. Nel Cinque e nel Seicento, il Ducato di Savoia lottava quindi per riunire attorno a Torino un territorio compatto e sufficientemente difendibile, non più circondato da ampie sacche di territori (almeno potenzialmente) ostili che in alcuni casi penetravano pericolosamente al suo interno. Due nomi su tutti: il Marchesato di Saluzzo e il Marchesato del Monferrato. Nel primo caso, l’annessione al Ducato di Savoia ebbe luogo nel 1601; nel secondo caso, dopo un secolo XVII funestato dalle vicende rese celebri – fra l’altro – dai «Promessi Sposi» (1), il Monferrato solo ai primi del Settecento entrò a far parte di uno Stato sabaudo che si accingeva a diventare regno.

Risolti finalmente i problemi posti da due entità territoriali di tal genere a così poca distanza dalla Capitale, per i Savoia si aprì una nuova fase: non più di consolidamento territoriale, bensì di vera e propria espansione. Espansione che non poteva che rivolgersi verso sud e soprattutto verso est. Troppo potente infatti la Francia a ovest (ed è casomai quest’ultima a protendere i propri artigli verso la Savoia…); a nord, il confine sabaudo giunge già sino alle porte di Ginevra, ed ulteriori espansioni non appaiono negli interessi di una casa regnante che ha ormai scelto di prediligere i territori italiani; a sud, invece, l’agognato sbocco al mare ai danni di una Repubblica di Genova che è ormai terra di conquista. Infine, a est, il grande sogno: quella Milano che nel 1713 passa dalle mani spagnole alle mani austriache e che, se cadesse in mani sabaude, farebbe compiere al Regno di Sardegna un incredibile salto di qualità…

Le prime due Guerre di Successione

Dei tentativi di espansione sul versante meridionale diremo, per accidens, più avanti. Notiamo, per ora, che gli sforzi espansionistici sabaudi si concentrano senz’altro verso oriente. Si comincia proprio con quella pace di Utrecht che nel 1713 (mediante l’annessione della Sicilia che sarà però presto scambiata con la Sardegna) pone fine alla Guerra di Successione Spagnola e – per quanto ci riguarda – trasforma il Duca di Savoia in Re; a parte ciò, Torino si annette definitivamente Casale e il resto del territorio monferrino del quale abbiamo già accennato. Non coronati da successo sono invece i tentativi dei plenipotenziari sabaudi di far propri il Novarese e l’Alto Novarese (2). Per realizzare almeno parzialmente tali scopi, sarà necessario attendere ancora una ventina d’anni.

È infatti con la Guerra di Successione Polacca (1733-1738) che i Savoia si tuffano con tutte le forze verso est. Superato il problema del Monferrato, si tratta ora di cominciare a «corrodere» (3) il territorio del Ducato di Milano. Prima ancora di mirare a Milano stessa, fondamentale è attestare il proprio confine sulla linea del Ticino, facendo oltretutto venir meno autonomie come il Feudo di Masserano e e la Riviera d’Orta che – analogamente a quanto avveniva nei secoli precedenti con Saluzzo e Monferrato – si pongono ora come notevole fattore di disturbo locale (4).

Schierati con Spagna e Francia e contro Russia, Prussia e Austria, gli eserciti di Torino giungono stavolta proprio fino a Milano. Il capoluogo lombardo non potrà essere mantenuto, ma con le Paci di Vienna e di Parigi (1738-1739) Novara entra finalmente a far parte del Regno di Sardegna, portando in dote un territorio circostante ragionevolmente vasto; conquista importantissima – e secondo alcuni più ardua di quella della Sicilia…(5) – cui però non si accompagna quella dell’Alto Novarese, o, come lo chiamiamo oggi, del Verbano-Cusio-Ossola.

La Guerra di Successione Austriaca

Non si fa attendere a lungo una nuova guerra, in un’Europa che per la terza volta in meno di mezzo secolo prende a pretesto le beghe dinastiche di un singolo Paese per scatenare un conflitto di dimensioni continentali, nel quale le varie querelles tra questa e quella Potenza danno luogo a singoli teatri di guerra più che mai variegati e sparpagliati.
Alla fine del 1740, scoppia la Guerra di Successione Austriaca. Pretesto è offerto in questo caso dal fatto che non tutti concordino sulla successione all’interno della dinastia asburgica per linea femminile (prevista dalla Prammatica Sanzione del 1713), e dunque sul fatto che sul trono viennese, reso vacante dalla prematura morte di Carlo VI, possa salire la ventitreenne figlia Maria Teresa.
Questa volta – strano ma vero – il Regno di Sardegna si trova alleato dell’Austria. Conseguenza di un sempre vorticoso balletto delle alleanze che porta dalla parte di Torino e Vienna anche Gran Bretagna e Russia. Tutti contro il consolidato asse franco-spagnolo, naturalmente con il consueto contorno di stati tedeschi che, come da loro tradizione, si schierano un po’ da una parte e un po’ dall’altra….

Il trattato di Worms

«En considération du zèle, et de la générosité, avec les quels Sa Majesté le Roi de Sardaigne s’est portée à exposer sa personne et ses états pour la cause publique, et pour celle de Sa Majesté la Reine d’Hongrie, ed de Bohême, et de la Sérénissime Maison d’Autriche en particulier, et des sécours effectifs, qu’elle a déjà reçûs, en considération aussi des engagemens onéreux d’assistance, et du lien perpétuel de garantie, qu’il contracte avec elle par la présente alliance…» (6). Sono le prime parole dell’art. 9 del Trattato di Worms, stipulato il 13 settembre 1743 come accordo «intermedio» del conflitto. Parole che – prima ancora di passare agli effetti concreti del trattato – illuminano sul ruolo giocato nei primi (quasi) tre anni della guerra da un Regno di Sardegna che si pone ormai come potenza emergente a livello continentale.

Proprio in nome di tale fattivo ruolo diplomatico-militare si legittima una parte delle pretese territoriali sabaude. E, prima di entrare nel merito di queste ultime, converrà dire che cosa i Savoia non riescono ad ottenere neppure questa volta. Non solo naturalmente Milano rimane una chimera; ma resta anche delusa la “viva cupidigia” sabauda su Genova (7), che sarà occupata dagli austriaci nel 1746 in una parentesi della storia di una Repubblica Marinara ormai agonizzante che resterà famosa per l’episodio di un ragazzino detto Balilla (8). Né lo sbocco al mare potrà essere ampliato mediante la conquista del territorio di Finale (9), che sarà promesso ai Savoia dal medesimo tratto di Worms, ma ad essi mai effettivamente consegnato (10). Elementi che creano notevoli discrepanze e ancor maggiore malcontento all’interno del governo sabaudo. In un’accorata lettera al Marchese d’Ormea, il Ministro di Stato Maresciallo di Noailles protesta a chiare lettere «l’insuffissance des motifs qui ont pu déterminer à donner préférence à ce Traité». Gli risponde l’Ormea per le rime il 5 gennaio 1744, invitandolo senza mezzi termini a rileggersi le carte: «V.E, qui est ministre d’état, et à qui le travail ne coûte rien, pourroit s’éclairer en partie de cette verité par la lecture des pièces»… (11). Carte che del resto affondavano le loro origini sin nella Convenzione Provvisoria già firmata a Torino il primo febbraio 1742, della quale il trattato appena sottoscritto, per quel che qui ci interessa, ricalca assai fedelmente le previsioni (12).

A fronte delle indubitabili delusioni giungono in effetti, per i Savoia, consolazioni non di poco conto. Ai sensi dell’art. 9 del trattato di Worms, in virtù dei buoni uffici dell’Inghilterra (13) e en considération di tutto ciò che già abbiamo citato, «sadite Majesté la Reine d’Hongrie, et de Bohême pour elle, ses héritiers et successeur cède, et transfére dès-à-présent, et pour toûjour à sadite Majesté le Roi de Sardaigne, ses héritiers et successeurs pour être unis a ses autres états la ville, et le discrict de Vigevano appellé le Vigevanasque, la partie du Pavésan qui est entre le Po, et le Thésin, en sorte, que le Thésin fasse d’or en avant par son milieu la séparation, et la borne entre les états del part, et d’autre depuis le Lago-Maggiore jusqu’à l’endroit où il se jette dans le Po [et] enfine la partie du Comté d’Anghiera, ou soit de l’état de Milan, quelque nom particulier, qu’on puisse y donner, qui confine avec le Novarois, la Vallée de Sèsia, les Grandes Alpes, et le Païs de Vallai, en tournant jusqu’aux Préfectures suisses de Valmaggia, et Locarno, at au long, et dans le Lago-Maggiore jusqu’à la moitié du dit lac; de façon, qu’à l’avénir les confins entre les état de Sa Majesté la Reine d’Hongrie seront continuellement fixés par une ligne tirée dépuis les confins des Suisses au milieu, et au long du Lago-Maggiore jusqu’à l’embouchure du Thésin, qui continue de là au milieu de cette rivière jusqu’à son embouchure dans le Po» (14).

Si realizza dunque il sogno sabaudo di avere il Ticino come confine orientale. Come si vede, tale criterio (che tollera rarissime e minime eccezioni, tutte peraltro riguardanti il settore sud) viene espressamente adottato dal Trattato per identificare le terre da assegnare ai Savoia. Criterio del resto di una semplicità provvidenziale: ché anche i diplomatici, come si nota, hanno talora difficoltà nel chiamare le singole terre col giusto nome, al punto da essere talora costretti a clausole tipo «qualunque nome a tali terre si possa dare…».

In forza di tale art. 9, per la parte che qui ci interessa, entrano dunque a far parte del Regno di Sardegna «la parte del Contado d’Anghiera o sia dello Stato di Milano, che confina col Novarese, la Valsesia, le Grand’Alpi, e paese di Valleg, sino alle prefetture svizzere di Valmaggia, e Locarno, come ne restano rispettivamente espressi i confini all’articolo suddetto [del trattato di Worms]» (15). Sarà ora opportuno fare un passo indietro per ricordare brevemente le vicende di quelle terre nei secoli che precedono tale prevedibile, ma nei modi come vedremo piuttosto improvvisa, transizione sotto il governo del Regno Sabaudo.

L’Alto Novarese sotto il Ducato di Milano

La Val d’Ossola apparteneva allo Stato di Milano sin dal 1381, anno nel quale si era – per così dire – spontaneamente autoceduta ai Visconti in cambio di precise autonomie amministrative e fiscali (16). Più precisamente, è del 19 marzo di quell’anno il decreto che annette i nuovi territori allo stato milanese, con contenuti che, come vedremo, saranno oggetto di aspre dispute con i nuovi sovrani sabaudi. Dalla fine del secolo XIV in poi, nulla dunque era cambiato dal punto di vista politico a Domodossola, Pallanza (17) e dintorni, i quali si erano goduti le loro autonomie vivendo delle risorse locali e della posizione strategica sull’asse nord-sud delle grandi vie del Continente – storicamente facenti notevole perno sul passo del Sempione. Una realtà fatta propria dai vari padroni che si alternano nei secoli a dominare il Ducato di Milano, dagli Spagnoli agli Austriaci: diversi tra di loro in molte cose, ma eguali nell’interessarsi alla Val d’Ossola soltanto per ragioni quasi esclusivamente fiscali e militari (18).
Un simile isolazionismo non fa ovviamente che acuire le differenze culturali, di temperamento e di organizzazione statuale con le terre situate al di qua del Sesia, all’epoca visto – in luogo del Ticino – come confine naturale tra il Piemonte e la Lombardia (19). Come sempre accade nei territori troppo chiusi in se stessi, si accentuano però le divisioni interne: tra Ossola e Verbano, nonché tra Ossola Superiore e Ossola Inferiore, il che, come si vedrà, creerà non poche complicazioni anche dopo il 1743
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La transizione

Al trattato di Worms, i territori dell’odierna provincia del Verbano-Cusio-Ossola si presentano dunque con un’attitudine che non può certo dirsi di totale sorpresa, se è vero che – come si è visto – non era certo la prima volta che i Savoia, da qualche decennio a questa parte, effettuavano tentativi in tal senso; nondimeno, dopo più di tre secoli e mezzo d’una quasi immutabilità, lo scossone non poteva che essere forte…
In esecuzione del citato art. 9 del trattato di Worms, data ufficiale dello spostamento dei confini è domenica 26 gennaio 1744 (20). Indiscrezioni erano ovviamente giunte – da Milano – nelle settimane e nei mesi precedenti (in una con le relative lamentele dei milanesi alla Corte di Vienna…) (21), e in tal modo, in realtà, «conobbero gli abitatoi dell’Alto Novarese, del Vigevanasco e dell’oltre Po, che non più Maria Teresa d’Austria, ma Emanuele di Savoia era lor signore» (22). Tempo una sola settimana, e il Comune di Pallanza, in virtù della «cessione di questi paesi lacuali», invia suoi delegati «…ad umiliar a nome di questo nostro borgo li dovuti atti di ossequio… e riconoscer quella Maestà per nostra» (23). E la nuova Maestà in questione, nonostante la guerra sia ancora in corso, non perde certamente tempo a legiferare sulle terre di nuovo acquisto, autoattribuendosi senz’altro la potestà di… infischiarsene altamente delle autonomie godute fino a quel momento sotto Visconti, spagnoli, Asburgo e chi per loro: si sostiene infatti a Torino che il già citato decreto visconteo del 19 marzo 1381 avesse natura – per così dire – interpersonale, e che dunque un nuovo sovrano (tale perdipiù non in virtù di un avvicendamento di dominî in quel di Milano, bensì di uno spostamento di confini) non sia per nulla vincolato alle autonomie concesse per mezzo del decreto medesimo (24).
Ne nascono così riforme importanti, viste ovviamente con sospetto da chi ha sempre fatto da sé ed è sempre stato assai geloso delle autonomie di cui sopra (25). Naturalmente, il tutto non fa perdere di vista ai Savoia la necessità di evitare traumi in alcuni settori chiave della Pubblica Amministrazione. Già con le Regie Patenti del 21 febbraio 1744 – meno di un mese dopo la presa in consegna delle terre di nuovo acquisto – ordina pertanto Re Carlo Emanuele III che «il Senato nostro di Piemonte abbia, ed eserciti ne’ Paesi sovr’espressi […] quella stesa giurisdizione, ed autorità, che esercitava ed esercitar vi poteva il Senato di Milano, e che il Magistrato della Camera v’abbia il pieno e libero esercizio di quella che appartenevasi alli Magistrati ordinario e straordinario di detto Ducato, conformandosi però ambedue sì nella formazione, e struttura de’ processi, e modo di proferire le sentenze, che nella decisione delle cause, ed in ogn’altra cosa, agli usi, stili, costituzioni, che s’osservano da’ magistrati di Milano, e che a questi medesimi s’uniformi parimenti il Senato nel riguardare gli affari ecclesiastici» (26) (27)
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Impatto e conseguenze

Fin troppo facile immaginare l’impatto di un simile vento innovatore. Abbiamo appena incontrato provvedimenti come le Regie Patenti del febbraio 1744, miranti a tamponare alcuni pesanti problemi che subito si ponevano nell’amministrazione delle nuove terre. Ciò ovviamente non toglie che la quantità delle questioni da affrontare richiedesse – tenuto conto ovviamente anche dei ritmi dell’epoca – anni di lavoro. Anni nei quali dalle terre di nuovo acquisto si segnalarono difficoltà di ogni genere. Si pensi ad esempio – sul fronte valutario – alla sostituzione della lira milanese con la lira piemontese (28): nel giugno del 1746 si nota in quel di Pallanza che, mediante i «dovuti ricorsi», era stata ottenuta «la tolleranza nel spendere le monete nel medesimo modo e forme che si faceva prima della pubblicazione della grida in data 26 maggio, attesa la grande scarsezza della moneta di grida» (29). Nel frattempo, le tradizionali ronde delle imbarcazioni sul lago si sono trasformate in servizi di pattugliamento di un confine tra «terre e paesi di qua del lago e di là del lago» (confine destinato a divenire, con le guerre risorgimentali del secolo seguente, molto molto caldo) (30). In attesa che la storia faccia il suo corso, ci si preoccupa delle relative spese di gestione…(31).

A comporre molte di queste difficoltà interviene, il 6 marzo 1750, l’«Editto di S.M. per lo stabilimento delle Intendenze ne’ paesi di nuovo acquisto, e per l’autorità, giurisdizione ed imcumbenze de’ rispettivi intendenti, anche come Conservatori Generali delle Gabelle» (32). Con tale provvedimento, regolando l’amministrazione dei territori passati sotto Torino – come visto – già negli anni precedenti, viene istituita l’Intendenza Generale di Novara. “Attesa la distanza, nella quale sono più luoghi dell’Alto Novarese dalla Città di Novara”(33), viene istituita la Viceintendenza di Pallanza. Con un caratteristico mix tra modernità amministrativa e retaggi feudali, si stabilisce che viceintendente di Pallanza debba essere, sempre e comunque, il podestà della città (34) (35). Per altro verso, il territorio della nuova viceintendenza coincide con la storica provincia di Pallanza (36), con una confusione tra termini e suddivisioni territoriali che, come tra poco accenneremo, sarà composta soltanto nel secolo successivo (37).
Comunque sia, lentamente le terre ossolane e verbane si riprendono dal trauma causato da quello che è stato percepito come un autentico smembramento (38), complice un indubbio trattamento di favore usato dai Savoia nei confronti delle terre di nuovo acquisto, che, rispetto ad altri territori, vengono trattati assai più dolcemente (39). In tale contesto si colloca il Trattato di Commercio del 4 ottobre 1751 con il Ducato di Milano (il quale, lo ricordiamo, è sotto dominazione austriaca) (40). Senza poter qui entrare nel dettaglio di un tale trattato, ne ricordiamo una clausola molto particolare. Con esso, si regola il regime doganale privilegiato di cui usufruisce il marmo di Candoglia (estratto dalle cave situate nell’omonima località facente parte del comune di Mergozzo), che in quegli anni viene utilizzato per completare la costruzione del Duomo di Milano. Tale materiale viene esentato dagli usuali dazi doganali, e viene all’uopo contraddistinto dalla dicitura
Ad usum fabricae, spesso siglata “A.U.F.”: secondo alcuni, da tale sigla deriverebbe l’espressione colloquiale “A ufo”…

Le vicende successive

Nonostante alcuni autori tuttora bollino come “pesantemente negativo” il bilancio del passaggio del VCO al Piemonte (41), non vi è dubbio che le terre di nuovo acquisto, come visto, non debbano abbandonare del tutto le autonomie di cui avevano goduto durante i tre secoli e mezzo trascorsi sotto lo Stato milanese. Certo, al già notato occhio di riguardo di Torino nei confronti di tali territori non sempre corrisponderà altrettale autonomia amministrativa, la quale sarà sempre oggetto di aspri dibattiti.
Su questo punto, del resto, si è già partiti col piede sbagliato. Abbiamo già visto che l’Editto del 6 marzo 1750 costituì la Viceintendenza di Pallanza: il che, se rappresentava dal punto di vista sabaudo una notevole concessione, dal punto di vista verbano e ossolano dovrà sempre fare i conti con la poca voglia di dipendere da Novara. Su ciò vanno poi ad innestarsi gli inevitabili particolarismi locali: ché l’Ossola – è appena il caso di rilevarlo – a sua volta non gradisce per nulla il fatto di dipendere da Pallanza…; e, a cavallo della parentesi napoleonica, approfitterà subito per costituirsi in reggenza di fatto autonoma. Discreta conquista si avrà in tal senso con il Regio Decreto del 10 novembre 1818, con il quale viene costituita la Viceintendenza di Domodossola; il che sarà peraltro utilissimo –
homo homini lupus….– ad innescare nuove rivalità tra Ossola Superiore, che transita per l’appunto sotto Domodossola, e Ossola inferiore, che resta invece sotto Pallanza costituendosi nel mandamento di Ornavasso (il che non piace per nulla agli abitanti di Vogogna…).
Non molto cambia, sotto tale punto di vista, con l’emanazione della fondamentale Legge Rattazzi (l. 23 ottobre 1859, n. 3702), che introduce una profonda riforma amministrativa in tutto lo Stato Sabaudo (il quale, per effetto della c.d. “Fusione perfetta” del 1847, rappresenta ormai da questo punto di vista un territorio uniforme). Per effetto di tale legge, il termine “provincia” cessa di indicare una suddivisione delle Intendenze ed assume il significato giuntoci fino ad oggi. Mentre nel territorio della Lombardia – annessa al Regno sabaudo quello stesso anno – ciò è spesso vero anche per i relativi confini, in Piemonte le province sono soltanto quattro: Torino, Cuneo, Alessandria e Novara. Quest’ultima è suddivisa in sei circondari: Novara, Biella, Vercelli, Varallo, Pallanza e Domodossola. Ancora una volta dunque il VCO dipende da Novara, peraltro conservando l’indipendenza tra Pallanza e Domodossola conquistata, come visto, nel 1818; indipendenza che svanirà però nel 1927, quando, con la soppressione dei circondari, l’intero territorio tornerà strettamente e uniformemente alle dipendenze della Provincia di Novara (42).
Per giungere a una nuova indipendenza se non altro amministrativa, bisognerà attendere – com’è noto – il 1992. Anche questa volta, Verbano e Ossola saranno però costretti a marciare di pari passo…

Roberto Codebò

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NOTE

(1) MANZONI, I Promessi Sposi, cap. XXVII.
(2) BERTOLO, Verbania: città nuova dalla storia antica, Novara, Camera di Commercio, Industria e Artigianato, 1984, p. 67.
(3) Così MORTAROTTI, L’Ossola nell’età moderna – Dall’annessione al Piemonte al Fascismo (1743-1922), Domodossola, Edizioni Grossi, 1985, P. 519.
(4) PISONI, Il Novarese dal Trattato di Worms al 1805, in POLO FRIZ (a cura di), 1859: Il Novarese. Dal Trattato di Worms alle annessioni dell’Italia Centrale. Atti del Convegno – Verbania 17 ottobre 2009, Torino, Alcuni Editori, 2010, pp. 15 s.
(5) Così PISONI, cit., p. 14.
(6) AST, Corte, Materie Politiche, Materie Politiche per rapporto all’estero, Negoziazioni, Vienna, m. 16, n 3.
(7) GALLENGA, Storia del Piemonte dai primi tempi alla Pace di Parigi, Torino, Botta e a., 1856, II, p. 338.
(8) Si trattava di un ragazzino genovese di circa dieci anni di nome Giovan Battista Perasso, il quale, il 5 dicembre 1746, incitò i genovesi alla rivolta contro le truppe austro-piemontesi scagliando contro di loro un sasso. Il soprannome «Balilla» gli derivava probabilmente – come nel caso di molti ragazzi genovesi – dal termine che significa «pallina», e che, passando attraverso la mitizzazione risorgimentale dell’episodio, sarà poi utilizzato dal regime fascista per denominare l’Opera Nazionale Balilla (ONB), l’organizzazione che inquadrava i giovani da otto a diciotto anni, i quali «Balilla» erano singolarmente denominati a loro volta. Di qui naturalmente derivano gli altri usi del termine, dal soprannome della celebre autovettura Fiat 508 sino al calciobalilla, anch’esso diffusosi in Italia in epoca fascista.
(9) Ricordiamo che lo Stato sabaudo da secoli poteva contare su altri sbocchi al mare. Sin dal 1388 era infatti soggetta a Torino l’intera Contea di Nizza, e nel 1576 i Savoia erano entrati in possesso anche della città di Oneglia (attualmente parte del Comune di Imperia). Non possiamo, sul punto, che ribadire le osservazioni circa la tendenziale non continuità territoriale degli Stati di quel tempo. Non solo da Torino – per lo meno in certe epoche – non era possibile giungere né a Nizza né a Oneglia senza passare attraverso per altri territori, ma neppure i due possedimenti marittimi erano tra di loro contigui.
(10) BERTOLO, cit., p. 67.
(11) AST, Corte, Materie Politiche, Materie Politiche per rapporto all’estero, Negoziazioni, Vienna, m. 16, n 10.
(12) MONFERRINI-PISONI, Le terre cedute del Lago Maggiore e Valli d’Ossola: il trattato di Worms e il passaggio dalla Lombardia al Piemonte: in occasione del cinquantesimo anniversario del Trattato di Roma, 1957-2007, Verbania, Alberti, 2007, pp. 39 e 41.
(13) GALLENGA, cit., p. 329.
(14) AST, Corte, Materie Politiche, Materie Politiche per rapporto all’estero, Negoziazioni, Vienna, m. 16, n 3.
(15) Tale passo è tratto dalle Regie Patenti del 21 febbraio 1744, sulle quali torneremo infra (DUBOIN, Raccolta per Ordine di Materie delle leggi, editti, manifesti, ecc. della Real Casa di Savoia, Torino, Davico e Picco, 1827, tomo III; parte II, volume IV, p. 648). Come si vede, esso traduce letteralmente, sintetizzandolo, il passo dell’art. 9 del Trattato di Worms che abbiamo riprodotto supra nell’originale francese.
(16) FATTALINI, A 250 anni dal Trattato di Worms, in Oscellana (Rivista Illustrata della Val d’Ossola), Ottobre-Dicembre 1993, p. 217.
(17) Ricordiamo che il Comune di Pallanza venne fuso nel 1939 con Intra, dando così origine all’odierno Comune di Verbania. In questa sede si fa quindi sempre riferimento separatamente ai due centri, dei quali peraltro il principale fu sempre Pallanza, che come si vedrà ricoprì costantemente nel tempo il ruolo di capoluogo di una suddivisione amministrativa e nel quale, non a caso, ha oggi sede l’amministrazione comunale di Verbania.
(18) MORTAROTTI, cit., p. 519.
(19) BERTOLO, cit., p. 67.
(20) BAZZETTA DE VEMENIA, Storia della Città di Domodossola e dell’Ossola Superiore, Domodossola, La Cartografica, 1911, p. 391.
(21) MONFERRINI-PISONI, cit., p. 49.
(22) PINELLI, Storia Militare del Piemonte, II, Torino, Caula, 1854, p. 14.
(23) ASVb, Comune di Pallanza, busta 4, Registro degli Ordinati della Comunità di Pallanza, verbale del 2 febbraio 1744.
(24) MORTAROTTI, cit., p. 554.
(25) MORTAROTTI, cit., p. 519.
(26) Per gli affari ecclesiastici, si comandava di tenere conto delle istruzioni già fornite per il Novarese e il Tortonese con le Regie Patenti del 30 gennaio 1739 e del 8 agosto 1741.
(27) DUBOIN, cit., tomo III, parte II, volume IV, p. 648.
(28) MONFERRINI-PISONI, cit., p. 54.
(29) ASVb, Comune di Pallanza, busta 4, Registro degli Ordinati della Comunità di Pallanza, verbale del 26 giugno 1746.
(30) ASVb, Comune di Intra, busta 5, Libro de’ Rogiti del Consiglio, verbale del 2 ottobre 1746.
(31) ASVb, Comune di Pallanza, busta 4, Registro degli Ordinati della Comunità di Pallanza, verbale del 28 febbraio 1746.
(32) DUBOIN, cit., 1827, tomo III; parte III, volume V, p. 1162.
(33) Ibidem.
(34) Ibidem.
(35) Tale omaggio alla tradizione non fece però troppa ombra alla determinazione sabauda ad assegnare alle terre di nuovo acquisto funzionari esperti e collaudati. V. MONFERRINI-PISONI, cit., p. 59.
(36) MORTAROTTI, cit., p. 520.
(37) GALLENGA, cit., p. 68.
(38) MONFERRINI-PISONI, cit., p. 55.
(39) Così PISONI, cit., pp. 20 s.
(40) MONFERRINI-PISONI, cit., p. 81.
(41) FATTALINI, cit., p. 217.
(42) MORTAROTTI, cit., p. 573.

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