Viticultura eroica e cambiamento climatico, la bella favola del Ramìe


Il vino simbolo della Val Germanasca si confronta con il futuro senza scordare il suo passato. Il racconto di un viaggio tra vitigni autoctoni quasi dimenticati, terrazzamenti e progetti di riqualificazione.

Dalle valli Chisone e Germanasca nel passato sono spesso usciti vini molto acidi e di modestissimo tenore alcolico. La viticoltura del Pinerolese ha sempre lottato con le temperature basse e con la difficoltà ad arrivare alla completa maturazione dei grappoli.

Da un lato la cultura della vite come tradizione e la sua coltivazione per ragioni di pura sussistenza; dall’altro l’impossibilità di affermarsi sui mercati per motivi sia qualitativi, sia di quantità del prodotto.

Il cambiamento climatico in corso apre una prospettiva nuova per alcuni di questi rossi alpini, che finalmente potranno giocarsela con gli altri vini raggiungendo alte gradazioni e contenendo l’acidità.

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Il Ramìe è il vino simbolo della val Germanasca. Oggi è parte della denominazione Pinerolese Doc con il nome Pinerolese Ramìe.

Scendendo verso valle, sulla sinistra sono ben visibili i vigneti abbarbicati su terrazzamenti con i muretti a secco.

Durante le ATP Finals, con il contributo della Camera di Commercio, Coldiretti Torino ha organizzato un tour per la stampa specializzata con lo scopo di informare sui progetti di valorizzazione del territorio che ruotano intorno alla produzione vinicola.

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LA STORIA DEL RAMìE

Qui si fa una viticultura eroica, da sempre. Qui non si riesce ad entrare nel vigneto con il trattore, al massimo con l’atomizzatore. Oggi si prova a realizzare qualche attività con il drone e riuscire ad effettuare i trattamenti agronomici sarebbe già una gran cosa.

All’inizio del secolo scorso il versante era completamente coperto da vigneto. Tutte le famiglie della val Germanasca e molte della val Chisone avevano un pezzo di terreno qui.  

Allora la vigna era una forma di sostentamento primaria, come le patate. Contava la quantità e se arrivavi a 10° di alcol ti leccavi già i baffi.

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A fianco dei filari i piccoli proprietari più abbienti avevano un modesto ciabot dove tenevano l’attrezzatura, ma soprattutto il pagliericcio per dormire quando si fermavano qualche giorno a lavorare lontani da casa.

Oggi è stata recuperata un’area di 5mila mq, compresi 10 piccoli ciabot che non si riuscivano nemmeno più a vedere, in quanto fagocitati dal bosco.

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Ramìe è un toponimo, un riferimento occitano di Pomaretto. Gli abitanti del posto, quando disboscarono tutto il versante utile alla viticultura per creare i muri a secco, fecero grandi cataste di piante e rami. Da qui il nome del luogo, poi passato anche al vino.

Esistevano molti micro-produttori familiari che stavano dismettendo le vigne. Quelli odierni sono in parte giovani grazie anche al sostegno del Comune di Pomaretto, che ha creato un consorzio al quale conferire le uve che vengono vinificate insieme.

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Nicolò Refourn, produttore

Racconta Danilo Breusa, sindaco di Pomaretto: «Le uve sono conferite alla Fondazione Scuola Malva Arnaldi di Bibiana, che è attrezzata per fare microvinificazioni. in questo modo supportiamo i costi che le piccole cantine non potrebbero permettersi. Alla fine ognuno prende il numero di bottiglie corrispondente all’uva che ha conferito».

Breusa è sindaco dal 2009 ed ora anche presidente, nonché socio conferitore, del consorzio. «I numeri sono davvero esigui, nel 2022 si sono prodotte in tutto circa 10 mila bottiglie – prosegue -. Siamo la doc più piccola d’Italia».

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Danilo Breusa

IL DISCIPLINARE

Il Ramìe nasce dall’assemblaggio di vitigni autoctoni ed è realizzato soltanto nei comuni di Pomaretto e Perosa Argentina.  

Fino a dieci anni fa il disciplinare richiedeva che venisse prodotto utilizzando almeno il 25% di Chatus, il 20% di Avanà e il 15% di Avarengo. Regole difficili da rispettare, perché non tutti i viticoltori disponevano di quantità sufficienti dei vitigni autoctoni obbligatori, dal momento che le vigne erano state piantate con più varietà, alcune provenienti addirittura dalla Svizzera.

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L’impegno dell’Università e della Camera di Commercio, insieme all’unione di intenti dei piccoli produttori hanno portato alla modifica del disciplinare.

Oggi il Ramìe è frutto dell’assemblaggio di tre vitigni autoctoni storici come Avanà, Chatus, Avarengo, ai quali si aggiunge il Becuèt, che nel frattempo è entrato nell’ampelografia della zona. I quattro vitigni vanno a comporre un minimo del 60% del blend, che può essere completato con quanto altro è presente in vigna.

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Sono scelte che rispettano la storia e le abitudini di queste valli. Si fa vino con quello che si ha, senza sprecare niente, anche se il Comune di Pomaretto investe nell’incremento della produzione dei vitigni obbligatori.

«Ogni due anni forniamo ai viticoltori alcune barbatelle dei quattro vitigni – continua il Sindaco -, in modo da limitare l’apporto di altre uve rosse e far sì che il vino possa avere via via una percentuale maggiore del 60% di Avanà, Chatus, Avarengo e Becuèt».

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Il consorzio ha messo in piedi anche l’avventura dello spumante a metodo classico (36 mesi sui lieviti) con bianchi autoctoni come Blanchet, Preveiral e Bian ver, o con le uve del Ramìe per il rosè. Poche bottiglie, che però mostrano la strada che si vuole intraprendere. Inoltre dalla vendemmia 2024 lo stesso Bian ver otterrà la Doc Pinerolese.

PROGETTI ED INIZIATIVE

Sono numerose le iniziative a sostegno di questa viticultura eroica.

Ci sono bandi comunali che prevedono lo stanziamento di 90-100 € a mq per il rifacimento dei muretti a secco.

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È stato recuperato un ciabot degustazioni su otto diverse proprietà. Oggi è un punto di osservazione e degustazione, aperto da marzo a fine ottobre, con assaggi di prodotti tipici locali e vino del luogo. Disporre di un luogo nei vigneti di una viticultura eroica è fondamentale per far conoscere il territorio, per capire che cosa significa vinificare in quelle condizioni.

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I viticoltori hanno realizzato un vigneto didattico con l’impianto tradizionale ad alberello, sistema di allevamento che permette di innestare un maggior numero di piante in terreni dalle dimensioni ridotte. I pali hanno colori diversi a seconda del vitigno, in modo da consentire a tutti di riconoscere le diverse componenti del Ramìe.

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Ci si è mossi anche sul versante turistico, per rendere maggiormente attrattiva la valle.

Sono stati puliti 20-25 km di sentieri, è stata realizzata l’adesione alla rete big bench, è nato il volo del Dahu. Quest’ultimo è una traversata della valle con vista sui vigneti eroici attraverso una zipline che funziona da maggio a ottobre. Si toccano i 110 all’ora e collega i due versanti.

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Sono disponibili quattro casette in legno certificato locale con tetto apribile (le Ramìe Glamping) per passare la notte osservando le stelle in uno stretto contatto con la natura all’interno del vigneto. Si prenota al 3491889748.

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LA CHABRANDA

Tra i produttori di Ramìe c’è anche La Chabranda, azienda agrituristica di Pomaretto associata a Campagna Amica e Terranostra.

Il loro Doc Pinerolese Rosso Ramìe 2021 è fruttato e vinoso e prodotto in soli 650 litri. Vendemmiato a fine settembre, affina un anno prima di andare in bottiglia.

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Come azienda agricola La Chabranda si occupa di produzione orticola, frutticola, vitivinicola, allevamento bovino e soggiorni educativi.

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È un punto strategico per un pranzo o una cena con i prodotti della valle, carni di razza piemontese, latte, formaggi, frutta e verdura su tutto.

Si parte con i salumi del territorio, di produzione propria: salame crudo di maiale, lardo alle erbette, mustardela.

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Poi i formaggi: seirass fresco, toma a media stagionatura e dahu stagionato un anno.

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Come primo non può mancare la Supa Barbetta, piatto della tradizione valdese cucinato con i grissini e con il brodo di carne del bollito, al quale si aggiungono formaggio, burro fuso e cannella. Passato in forno è un must delle feste e dei menu invernali. Un piatto povero, ma ricco allo stesso tempo.

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Nel bollito misto non mancheranno muscolo, testina, lingua e coda.

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Come chiusura Lara Ribet porterà in tavola bonet e panna cotta fatte come una volta.

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L’AUTIN

Un weekend enogastronomico tra le valli Chisone e Germanasca non può prescindere dalla visita alle miniere di talco di Fontane. Nelle gallerie della Paola e della Gianna l’Autin affina i suoi spumanti a metodo classico.

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Buio, silenzio, umidità del 90% e temperatura costante di 10° sono caratteristiche ideali nel momento di presa di spuma delle bollicine, dopo la prima fermentazione.

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Mauro Camusso, titolare dell’azienda di Barge, fa riposare in miniera un Piemonte DOC Pas Dosé 2019 che resta 42 mesi sui lieviti. Realizzato con il 50% di Pinot Nero 50%, il 40% di Chardonnay 40% e il 10% Bian ver, nasce nelle vigne di Campiglione Fenile e Bibiana in terreni subacidi vicini al fiume Pellice.

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Ai 1190 metri sul livello del mare della miniera Camusso tiene anche un ottimo Rosè Pas Dosé realizzato con il solo Pinot Nero.

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LA DEGUSTAZIONE DEL RAMìE

È il finale che manca a questo racconto e mi spiace non poco. A parte quello della Chabranda non ho avuto occasione di assaggiare altri Ramìe, anche se alcune etichette erano in realtà disponibili nel ciabot degustazioni.

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La ridottissima produzione di Ramìe, unita alla parcellizzazione tra le poche aziende che lo producono, è certamente un fattore limitante. Se c’è scarsa presenza di prodotto diventa difficile ipotizzare una sua distribuzione capillare per eventi e manifestazioni di promozione.

La conseguenza è quella di rischiare di parlare di qualcosa che non si trova, o che bisogna davvero andare a cercare sul posto.

Fermo restando che una gita in queste valli merita pienamente il viaggio, sono certo che presto l’unione di intenti tra i piccoli produttori porterà alla risoluzione del problema. Magari con una masterclass da pensare già nel mese di marzo, alla Torino Wine Week.

Fabrizio Bellone

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